….Oh comodo, oh bello un Re Travicello…

Solo dieci giorni son quelli che mancano dalle elezioni e dalla scelta che i cittadini son chiamati a fare. La differenza tra i due campi è netta e non nasce dal nulla. Sul flebile entusiasmo per il voto pesano i cattivi esempi di coloro che hanno rappresentato le classi dirigenti, ma anche quelli di tanti di noi che abbiamo permesso che esplodesse, ovunque, l’orgia del potere in tutte le sue spocchiose e malevoli esibizioni, della corruzione, della commistione con le mafie, della furbizia, della insipienza, dell’arroganza e della ignoranza crassa, senza muovere un dito, stanchi e sconfitti, privi di forza per reagire e di speranza per crederci.

Noi che a quell’orgia non abbiamo mai voluto partecipare, che l’abbiamo additata, senza compromessi, come il male assoluto, senza sentirci migliori di nessuno, perché la nostra anima umile così ci insegna, siamo a continuare la nostra lotta, sulla stessa barricata di sempre, quella dei deboli, quella dei diritti negati, quella sulla quale si erge la bandiera della giustizia e della verità. Il mondo non è un posto in cui vivere è facile. L’egoismo imperversa, i forti opprimono i deboli, la povertà è creata dalla ricchezza nelle mani di pochi, l’ipocrisia imbelletta il falso rendendolo credibile, l’apparire surclassa l’essere.

L’alone che circonda il tempo che viviamo ha i colori della decadenza, ma noi non abbiamo un altro mondo sul quale vivere e stiamo a difenderlo dalla barbarie dello sfruttamento, da chi si riempie le tasche e uccide la natura, da chi vive il delirio onnipotenziale del potere senza curarsi dei suoi, simili, degli animali, delle acque e dei fiori, di chi brama il possesso delle cose e ruba tutto quello che è di tutti, anche di chi ancora non è nato.  Noi non siamo in questa tenzone elettorale per rincorrere un narciso che prova ad attaccare manifesti anche sulle nuvole per propagandare la sua faccia che denota chiaro il bisogno di pozioni di “antispasmina colica.” Tutto questo rumore, tutto questo stender di insegne, tutto questo strepito di “vuvuzelas” non crea timore, ma tristezza; da quando leggemmo la bella poesia – “Il Re Travicello” di Giuseppe Giusti – abbiamo letteraria conferma che “le teste di legno fan sempre del chiasso”.

Noi dobbiamo continuare ad affermare, con ossessiva umiltà, la nostra diversità. Noi non dobbiamo dare per avere, noi non lanceremo polpette a molla prima delle elezioni per ritirarle dopo, noi dobbiamo chiedere a chi è con noi di rimanere libero, non dipendente, non gregario. Noi abbiamo messo a disposizione della città un’alternativa limpida, trasparente, serena, umana; una proposta altra rispetto alla melassa clientelare e levantina che andava consolidandosi. Lo abbiamo dovuto fare per rispondere al dovere civile della testimonianza, non per ambizione. Noi abbiamo riempito un vuoto che per un imperativo categorico etico, andava riempito. Lo dovevamo alla città che non s’arrende, che conserva gelosa la bellezza della sua cultura, la sua peculiare originalità, che sa, come sempre ha saputo nei momenti cruciali della sua storia, scegliere di stare, con il proverbiale buonsenso che qui è comune sentire, dalla parte della civiltà. La nostra è una legittima difesa dell’essenza umana che, non senza limiti e contraddizioni, ci connota e ci fa casagiovesi.

Noi ci siamo per ricominciare a ridisegnare, insieme, ognuno con il suo gradiente di fragile umanità, col suo talento e il suo sapere, la città del futuro, quella nella quale tutti, nessuno escluso, devono sentirsi a casa propria. Tocca ridisegnare la nostra vita collettiva, i luoghi della socialità, quelli della economia, della cultura, dello spirito. Tocca tenerci stretti l’ottimismo che provano a toglierci, la forza della unicità della collettività, la bellezza del camminare insieme, la dignità di tenere la testa alta a guardare le stelle.

Sono certo che ci ritroveremo, senza bisogno di doverci dare appuntamento, a camminare insieme, sulla stessa strada, passo dopo passo, verso un futuro dal quale arrivi la riconoscenza delle giovani generazioni e non la loro recriminazione.

  1. Carlo Comes