“Quando il sole della cultura è basso”, scrive Karl Kraus, “i nani hanno l’aspetto di giganti.” La cultura è stata bombardata negli ultimi decenni. La scuola dove l’amore per il sapere deve nascere per accompagnare per la vita è stata privata di risorse e, più volte deformata, anziché riformata. L’analfabetismo di ritorno per il quale oltre la metà di noi non comprende quello che legge. La comunicazione ridotta a slogan e spot per toglierci il piacere della parola e dell’originalità. La martellante pubblicità che rende conosciuto a tutti Pittarello e dimenticato Pirandello, più importane Maria De Filippi che Eduardo De Filippo. Con tutto questo crollare di architravi era giocoforza che il mondo intero cominciasse a riempirsi di mediocri, servili, ambiziosi e cinici che senza far rumore scalavano il potere. “Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere”.*
Si i mediocri hanno preso il potere; lo hanno potuto fare perché tutti abbiamo abbassato la guardia, non abbiamo saputo pretendere il meglio, ci siamo accontentati, abbiamo addormentato il nostro spirito critico, non abbiamo trovato più il tempo, intenti a inseguire consumi spazzatura, di pensare e di ragionare. Compito nostro, qui e ora, è quello di tornare a pensare. L’altro candidato a Sindaco della città ha scritto, in un post facebook di questi giorni, che non abbiamo bisogno di pensatori. Invece è esattamente il contrario. Abbiamo bisogno che tutti, nessuno escluso ritroviamo la libertà e il piacere di pensare, con la nostra testa, e di comunicare con il nostro linguaggio. A Napoli, dove la saggezza e la filosofia popolare si sono coniugate in un originale connubio, si ripete da secoli un detto: “’na capa che nun penza, è na cucozza”.
Una controrivoluzione, dunque, dobbiamo innescare. Basta mediocrità. Questa città ha avuto poeti naturali che parlavano in rima, analfabeti divenuti intellettuali che declamavano a memoria la Divina Commedia e l’infinito di Leopardi, artigiani inventori, artisti geniali, comari affabulatrici che hanno tramandato la storia, i cortili sempre teatri a sipario aperto, barbieri intelligenti e ironici inventori di barzellette, attori dilettanti e sublimi che tenevano con autorità i palchi delle rappresentazioni sacre e profane, i coreografi e i ballerini protagonisti del “laccio ammore” e dei “dodici mesi” a carnevale.
Quando abbiamo scritto il capitolo del Progetto Città dedicato alla cultura a tutto questo abbiamo pensato. Sapevamo bene che le radici della cultura sono amare, come lo sforzo di imparare, il sacrificio della lettura libera e del pensiero originale, delle angherie del potere contro chi dissente, ma ancor più eravamo consapevoli della dolcezza dei frutti.
Coniugare insieme il rinascimento e l’umanesimo è stata la nostra follia. Una follia necessaria per uscire dal catapecchismo culturale che ci opprime, per liberare tutto il potenziale che il conformismo imperante tiene schiacciato.
Casagiove ha le radici e le tradizioni sulle quali rinascere viva, originale, critica, ironica, consapevole che la cultura serve a non servire, a far tornare il sole dove è cresciuto il muschio della dimenticanza, a ricostruire una identità che è la chiave per aprire il futuro e consegnarlo ai giovani.
Carlo Comes
*La citazione virgolettata è di Alain Deneault, filosofo canadese.