La mia riflessione di oggi prende spunto da un grande politico del nostro tempo, Enrico Berlinguer.
“Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona così cantava Giorgio Gaber. E indubbiamente in questa semplice frase c’è qualcosa di vero. Enrico Berlinguer era una persona molto timida e riservata, con un carattere non pienamente adatto al ruolo politico, ma era un grande leader carismatico, moralmente intransigente, che parlava sempre col “noi”, esempio di una politica trasparente, equilibrata, aperta al dialogo e vicina ai ceti più deboli della società. L’eredità di Enrico Berlinguer come uomo e come politico è grande ed ancora oggi valida. La questione morale di cui egli parlava è un obiettivo ancora attuale. Egli, infatti, riteneva che la questione morale non riguardasse i tanti casi di disonestà e illegalità nella classe dirigente considerata nel suo complesso, ma l’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti. Se i partiti, tradendo i loro valori, occupano le istituzioni la democrazia si deforma e il populismo invade lo Stato.“
Molti anni sono trascorsi da quando egli affermava queste cose. Quella stagione e la successiva prima tangentopoli, che sembrava aprire nuovi scenari, mi pare ormai lontanissima. La vita politica recente è contrassegnata da una verticalizzazione dei processi politici, da una loro autoreferenzialità, da una riduzione della vita politica all’azione di gruppi e componenti, da una sottrazione della politica al suo luogo più naturale, che è la società. La situazione politica che si offre ai nostri occhi è veramente densa di preoccupazioni e piena di rischi per il futuro del nostro territorio. È quindi fondamentale chiamare forze politiche e sociali, movimenti e associazioni, a una profonda riflessione, aperta e orientata a conseguire risultati non predefiniti e predeterminati. Intanto fissiamo alcuni punti di partenza.
In questo percorso la politica deve saper fare fino in fondo i conti con la società. La società non potrà più essere vista come una quota da addizionare al sistema dei partiti. Essa al contrario è una grande risorsa, se solo si pensa al valore, che hanno assunto localmente realtà come l’associazionismo, il volontariato, i movimenti solidaristici. Queste risorse non potranno più essere richiamate in elenco, ma dovranno essere riconosciute nella loro autonomia e per il loro protagonismo. Una politica strumento a servizio dei cittadini che vogliono riprendersi il loro ruolo di impegno civile e non una politica fine a sé stessa.
La partecipazione, dunque, come antidoto a quelle forme chiuse e autoreferenziali dei partiti e dei loro gruppi dirigenti che hanno contribuito non poco ad allontanare dalla politica, intesa come impegno civile, migliaia di uomini e donne e intere generazioni di giovani nel nostro paese. Occorre che la politica assuma una grande responsabilità: rendere normale la partecipazione dei cittadini per cambiare lo stato delle cose esistenti. Se davanti alle ingiustizie, ai grandi squilibri del mondo, alla fame, alla povertà, alle malattie, alle guerre sosteniamo che un altro mondo è possibile, dobbiamo altrettanto sostenere che un’altra politica può esserne strumento indispensabile.
In questo contesto restiamo sempre più convinti che è necessario un mutamento dell’agire politico, che sappia dimostrare di rappresentare con chiarezza gli ideali e gli interessi della collettività contrapposti a quelli particolari, riconquistando alla partecipazione tante persone apatiche e deluse. La politica locale deve partire da un maggiore coinvolgimento dei cittadini dal basso.
Il nostro maestro deve essere il bambino della favola di Anderson, che in mezzo alla folla plaudente grida: «Il re è nudo». E così, come quel bambino, abbiamo il compito di vedere e annunciare l’ovvio che la consuetudine ha reso invisibile. Occorre guardare la realtà con naturalezza, liberi da condizionamenti, con l’innocenza di un bambino e con la consapevolezza del saggio. Niente bugie, niente menzogne, liberi da condizionamenti, finzioni e paure, questa è la bella politica. Siamo convinti che solo una profonda trasformazione delle coscienze, degli individui, delle strutture dei partiti, della società, può far sì che la crisi manifesti il suo potenziale evolutivo anziché degenerativo.
Giuseppe Vozza
(Le parti virgolettate sono liberamente tratte da un articolo di Francesca Porcheddu)