Oggi il virus tiene la scena. Non sottovaluto il potenziale di angosce e di morte che
porta con se, seguo le regole e spero tutti lo facciano per provare a frenarne la
diffusione, in attesa che una cura e un vaccino lo rendano innocuo. Esso, che non
escludo sia figlio di quella grande degenerazione della natura, da noi umani indotta,
che ha mille facce ugualmente drammatiche, crudeli, mortifere. La smania di
profitto di chi detiene ricchezza e potere vuole imporre il silenzio sul consumo del
suolo, sulla distruzione delle foreste, su chi rovescia nei fiumi e nei mari i veleni delle
industrie e di 24 miliardi di animali da allevamento, su chi appesta l’aria di gas e
polveri e anidride carbonica, di chi fa crescere fino al cielo montagne di rifiuti, di chi
lascia sugli oceani chiazze di plastica galleggianti che superano la superficie degli
Stati Uniti. Tutto questo uccide più del virus e sembra non far paura. Tutto questo
uccide la Terra desertificandola, privandola delle fonti d’acqua, sciogliendo i ghiacci,
provocando eventi estremi. I protocolli tra Stati rimangono pezzi di carta derisi da
coriacei e immani interessi economici che usano, rubano e distruggono quel che la
Terra possiede e provano a convincerci che essere umani non è di moda, meglio
essere consumatori felici e incoscienti a far le file davanti ai grandi magazzini. Ci
convincono che lavorare non è la libertà dal bisogno e la dignità, ma l’allegra
incoscienza della perdita dei diritti, fino all’accettazione di tante forme di schiavitù.
Noi siamo una piccola comunità, ma la nostra dimensione non ci esime dal diritto e
dal dovere di partecipare, anche da goccia nel mare, alla difesa della vita. La Terra
morirà, se non la difenderemo. Il consumo di risorse è triplicato negli ultimi
cinquanta anni e raddoppierà ancora nel 2050, quando la popolazione sarà di 9
miliardi e la temperatura sarà salita ancora di un grado e mezzo. Per come viviamo e
come consumiamo, ci vorrebbero due pianeti, ma, ahinoi, ne teniamo solo uno.
Distratti e dimentichi della Bibbia che con il comando di Bal – Tashchit vieta di
tagliare gli alberi, deviare i fiumi, sprecare l’acqua e, nel Pentateuco, sancisce il
divieto di installare attività produttive nei centri abitati e alzare muri che tolgono la
luce. Del Corano che con l’obbligo di Hima istituisce riserve naturali all’interno delle
quali non si possono abbattere alberi, uccidere animali, negare alle creature
l’accesso all’acqua. Del monito del Dalai Lama: «Impara a rispettare qualunque
insetto, e avrai imparato a rispettare il mondo intero». Della Enciclica “Laudato Sì” di
Papa Francesco e del Sinodo sull’Amazzonia.
Il capitolo del progetto di “Casagiove Coraggiosa” sull’ambiente è stato pensato e
redatto entro queste generali coordinate. Non devono esserci scelte parziali,
disarmoniche e contraddittorie. Il suolo della città è di soli 6,7 kmq, su di esso deve
vivere la città. Le scelte da compiere nel regolare le attività, nel destinare il
territorio, nella ricerca delle potenzialità che esprime devono essere sagge ed
equilibrate. A nessuno deve essere permesso di far profitti scaricando costi sulla
comunità; basti pensare a coloro che hanno scavato le colline, ai loro profitti e al
danno che, immane, hanno lasciato sulle spalle della comunità. Il territorio, gli
alberi, l’aria, gli uccelli sono di tutti, come sono di tutti gli spazi verdi, le piazze, le
strade e tocca a tutti difenderli dai profittatori, ma anche dai vandali, dai
maleducati, dai cretini.
La sfida è ricostruire una cultura della cittadinanza. Avere intera la consapevolezza
dei propri diritti, dare regole chiare e semplici per l’iniziativa privata. Troppe volte,
nella storia della città, in nome di una crescita che si è rivelata senza sviluppo, si
sono fatte scelte dal respiro corto e la città ne ha perso. Riprendiamo la bella
tradizione di piantare un albero per ogni bambino che nasce, affidiamoglielo per la
vita e chiediamo che ne pianti, divenuto adulto, un altro. Torniamo a ripulire gli
spazi verdi da volontari. Difendiamo la macchia delle colline dagli incendi.
Prendiamo un pennello e ridipingiamo panchine e ringhiere arrugginite. Torniamo a
vivere le vie, i cortili, le piazze della parte antica della città, spingiamo, col recupero
degli immobili esistenti, il ritorno di abitanti e di attività di vicinato e gli artigiani,
dove è cresciuta la desertificazione. Abbattiamo barriere fisiche e sociali ed
economiche e torniamo a stare insieme ad ascoltarci, a sorriderci a darci una mano,
ad essere solidali dove c’è sofferenza, dove c’è bisogno.
Riprendiamoci la nostra storia, le nostre tradizioni, la nostra memoria, smettiamola
di consumare il futuro che non è nostro.
So che è una sfida difficile che richiede testa cuore e coraggio, ma è l’unica via per
giungere alla città che vogliamo, alla città che la comunità merita.
Carlo Comes